L'importanza degli ambienti umidi

Gli ambienti umidi rappresentano, a livello naturalistico, una delle principali emergenze, tanto che la letteratura scientifica può contare su una sequenza straordinaria di contributi. Anche a livello internazionale, attraverso convegni, convenzioni (Ramsar), giornate mondiali appositamente dedicate e specifiche direttive, l'attenzione sulla necessità di tutelare e difendere il patrimonio di biodiversità, è stata spesso richiamata. In Italia le province autonome di Trento e Bolzano da un lato, e la Regione Friuli- Venezia Giulia dall'altro, hanno emanato specifici provvedimenti di legge, istituendo ufficialmente i biotopi come aree protette in cui, con appositi piani di gestione, si possono prevedere anche interventi di riqualificazione e valorizzazione, partendo sempre dall'ottica della conservazione delle specie e delle comunità (vegetali o animali) quale obiettivo essenziale.
In Provincia di Belluno, ove si escludano gli studi preliminari effettuati in funzione del PTP, il problema di un adeguato censimento di aree umide di interesse naturalistico, non è mai stato affrontato e solo casualmente, a seguito di iniziative di studio da parte di singoli ricercatori, l'importanza di alcune aree è stata evidenziata.
La tipologia delle zone umide include diversi ambienti. In questo studio sono state considerate in particolare le torbiere, ma anche alcuni esempi di specchi lacustri e di ambiti fluviali ripariali. Esistono tuttavia altri biotopi quali sorgenti, stagni, vari tipi di laghi, prati umidi, boschi paludosi, ecc.
I siti che vengono di seguito descritti rappresentano soltanto un campione e non esauriscono (né per quantità né per qualità) le zone di residuo elevato valore naturalistico dalle quali, per scelta, erano stati esclusi gli ambienti già protetti in quanto compresi nei parchi. Oltre alle torbiere, notoriamente di eccezionale valore vegetazionale, sono state considerate anche alcuni altri ambiti territoriali di rilevante interesse forestale, faunistico o paesaggistico.
La specifica importanza e il significato delle torbiere è stata oggetto della relazione dei collaboratori briologi, con i quali è stato concordato anche il lavoro di campagna.

Siti di interesse comunitario (SIC) e zone di protezione speciale (ZPS)

È opportuno rammentare che buona parte dei biotopi qui considerati, anche se non godono ancora di specifiche misure di protezione, sono inseriti nell'elenco dei proposti SIC che il Ministero dell'Ambiente ha trasmesso, su indicazione della Regione, alla Commissione di Bruxelles. Secondo le più recenti interpretazioni del Ministero, avallate dalla stessa Commissione, qualsiasi intervento effettuato all'interno dei proposti SIC che causi danni significativi alle specie e agli habitat prioritari, è passibile di denuncia (procedura di infrazione alle regole comunitarie). Attualmente si sta predisponendo il nuovo regolamento, che sostituirà il DPR 357/97, per il recepimento e l'applicazione della direttiva habitat (92/43). In prospettiva si possono considerare due punti fermi: la necessità di adottare un piano di gestione per ogni SIC, nel quale individuare gli obiettivi di conservazione, le attività consentite e vietate, e l'obbligo di avviare uno studio chiamato "valutazione di incidenza" per qualsiasi intervento che potrebbe arrecare danno all'habitat o alle specie notevoli segnalate. Alcune indicazioni emerse in questo studio possono essere considerate un anticipo di linee guida da utilizzare non appena si passerà dalla fase oscura dei conflitti di competenze e delle discussioni tra organismi statali e regionali o tra regioni e comuni, a quella delle decisioni operative in cui si sarà chiamati a dover rispondere della corretta applicazione delle normative comunitarie.
Per quanto concerne le ZPS, ricordato che soltanto l'area del Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi e le Riserve del Cansiglio vi sono inserite, si ha notizia che per l'Italia si profila la procedura di infrazione in quanto il territorio già dichiarato ZPS è largamente inferiore alle attese (meno del 40% rispetto alle aree già individuate come IBA sulla base della direttiva cosiddetta "Uccelli").

LE TORBIERE

Le torbiere sono un particolare tipo di ambiente umido caratterizzato da un accumulo di sostanza organica parzialmente decomposta in condizioni di forte idratazione del substrato. Il deposito organico che si va accumulando prende il nome di "torba" e rientra nella categoria dei suoli organici. La principale caratteristica dei suoli organici è quella di possedere un basso contenuto di sostanze minerali al punto che nella torba propriamente detta la frazione minerale è in genere inferiore al 5%. A questo proposito si rammenta che in un suolo minerale di buona fertilità è invece la frazione organica ad essere in quantità inferiore al 5%. La possibilità di accumulo di resti organici parzialmente decomposti si spiega considerando il fatto che la falda idrica si localizza sempre in prossimità, se non al di sopra, della superficie della torbiera per la maggior parte dell'anno. Si creano in tal modo condizioni di anossia che ostacolano l'attività di decomposizione ad opera dei micro-organismi.

Origine delle torbiere

La genesi e lo sviluppo delle torbiere si assume avvenga attraverso due principali processi spesso fra loro consequenziali: l'interrimento di bacini lacustri e l'impaludamento. L'interrimento inizia con una fase detta di successione allogena in cui predominano eventi morfologici esterni di natura fisica riconducibili a deposizione e sedimentazione di clasti all'interno del bacino, mentre nella seconda fase detta di successione autogena il riempimento del bacino è primariamente causato dall'accumulo di resti organici vegetali. Per queste ragioni il profilo stratigrafico di un'area torbosa creatasi per interrimento di un bacino permette di osservare dei sedimenti inorganici di fondo posti al centro dell'area e chiaramente corrispondenti alle prime fasi dell'interrimento. Su tale deposito inorganico poggiano di norma strati di fango organogeno prodotti dal deposito di biomassa planctonica che doveva essere abbondante quando il bacino era ancora colmo d'acqua libera. Fanno poi seguito una serie di strati di materia vegetale (la torba) di varia natura e spessore a testimoniare le diverse comunità vegetali che si sono susseguite durante lo sviluppo della torbiera.

In alternativa al processo sopra descritto, le torbiere possono generarsi anche per un processo di impaludamento di aree precedentemente non interessate da ristagno idrico. E' verosimile che l'impaludamento sia favorito non solo da condizioni climatiche fresco-umide, ma anche dalla presenza di scorrimenti idrici superficiali sulle aree che gradualmente si vanno impaludando. Spesso l'impaludamento si manifesta come espansione laterale di ambienti umidi formatisi per interrimento. Fra i due processi si determina allora una stretta relazione di consequenzialità.

Tipologia delle torbiere

Le torbiere possono essere descritte e classificate sulla base di caratteri topografici, idrologici, chimici e floristici dando così vita ad una serie di tipologie quanto mai varie e complesse. Per i nostri fini ci limiteremo a considerare solo quelle tipologie che meglio ci permettono di descrivere e comprendere le torbiere oggetto dell'indagine.

Una prima distinzione su base idrologica e topografica permette di distinguere le torbiere in tre principali categorie: topogene, soligene e ombrogene. Le torbiere topogene si sviluppano in depressioni del suolo così che la loro falda viene alimentata in parte da apporti atmosferici ed in parte dalla falda del bacino idrico in cui esse sono inserite. E' verosimile che le torbiere topogene debbano il loro sviluppo ad un processo di interrimento.

Le torbiere soligene si sviluppano generalmente su pendii più o meno inclinati e la loro alimentazione, oltre che per via atmosferica, avviene ad opera di scorrimenti idrici superficiali o profondi. In questo caso è verosimile che la genesi delle torbiere soligene sia riconducibile ad un processo di impaludamento. Sia le torbiere soligene che quelle topogene hanno una morfologia piatta e per questo vengono anche dette "torbiere basse".

Infine, le torbiere ombrogene si caratterizzano per essere del tutto svincolate dall'influsso della falda del bacino idrico in cui sono inserite possedendo una morfologia convessa che determina la formazione di un piano di falda autonomo all'interno della torbiera. In tal modo le torbiere ombrogene, dette anche "torbiere alte" per la loro forma convessa, vengono alimentate per sola deposizione atmosferica di pioggia o pulviscolo risentendo dell'influsso dell'acqua proveniente dal suolo minerale solo lungo una limitata fascia di margine.

Come si può intuire, la distinzione idrologica sopra descritta è strettamente legata alla modalità di alimentazione idrica della torbiera e perciò alla qualità e quantità di nutrienti che possono giungere alla torbiera. Le torbiere basse (topogene e soligene) essendo alimentate primariamente da acque provenienti dal suolo minerale possiedono un chimismo idrico caratterizzato da un maggior contenuto di ioni in soluzione, da più elevati valori di alcalinità e da valori di pH dell'acqua prossimi alla neutralità o comunque sub-acidi. Invece, le torbiere alte (ombrogene) alimentate solo per via atmosferica possiedono bassi contenuti di ioni e nutrienti in soluzione e valori di pH decisamente acidi (in genere < 4.5). Poiché più elevati valori di pH delle acque indicano, generalmente, una maggior disponibilità di nutrienti per le piante, si è soliti parlare delle torbiere basse come di torbiere minerotrofiche e delle torbiere alte come di torbiere oligotrofiche o, nelle situazioni estreme, ombrotrofiche.

Flora e vegetazione delle torbiere

Come si è visto la diversa idrologia influenza il chimismo delle acque il quale a sua volta condiziona la composizione floristica delle torbiere. Infatti, le torbiere basse sono caratterizzate dalla dominanza di ciperacee e graminacee fra le specie vascolari, mentre tra le briofite sono caratteristici i muschi bruni del genere Campylium, Drepanocladus, Calliergon, Mnium e Bryum. Si tratta nel complesso di specie più esigenti dal punto di vista nutritizio e, per certi versi, anche più produttive.

Nelle torbiere alte, dove i nutrienti sono sempre in quantità molto bassa, sono le specie del genere Sphagnum a costituire gran parte della biomassa, muschi a crescita illimitata in grado di competere efficacemente in questi ambienti ombrotrofici. Gli stessi sfagni aumentano, per ragioni legate alla loro modalità di assorbimento dei nutrienti, l'acidità dell'ambiente esterno creando così un ambiente a loro più adatto, ma decisamente più difficile per le altre specie vegetali. La crescita verticale indefinita di queste piante è alla base dello sviluppo verticale della torbiera alta che si isola così sempre più dall'ambiente circostante. Come si può intuire, gli sfagni sono causa ed effetto dell'ambiente da loro stessi modificato e creato. Poche sono le specie vascolari in grado di vivere in questi ambienti acidi e poveri di nutrienti. Molto spesso si osserva la presenza di simbiosi micorriziche per favorire l'assorbimento di nutrienti come nel caso delle ericacee. Nel complesso, le difficoltà ambientali riscontrabili nelle torbiere alte spiega la minore variabilità floristica delle stesse rispetto alle torbiere basse, più ricche di specie.

Una situazione vegetazionale intermedia fra quella delle torbiere alte e basse si osserva qualora una torbiera bassa presenti cumuli a sfagni più o meno frequenti ed estesi. Queste torbiere vengono solitamente dette "intermedie" e potrebbero rappresentare la fase iniziale dell'evoluzione della torbiera bassa verso la torbiera alta con il progressivo estendersi della copertura a sfagni.

 
 
 
 
BIOTOPO N. 10. TORBIERE DI DANTA
 

Il complesso delle torbiere e paludi di Danta rappresenta un insieme di biotopi, spesso tra loro completamente distinti a livello fisico e topografico ma in qualche modo correlati sia dal fatto di situarsi nel medesimo comune che per le similitudini dei loro valori naturalistici. In origine, pur escludendo subito il lago Cestella (con la torbiera limitrofa, località molto importante in cui è segnalata Rhynchospora alba e ancor oggi vegeta un'estesa comunità a Schoenus ferrugineus) che ha una sua peculiarità, e anche trascurando altri biotopi quali il lago di S.Anna e le Ciamore, localizzati sul versante comeliano interno in comune di Comèlico Superiore, erano sei le aree torbose individuate negli studi preliminari del PTP e inserite anche nel PRG di Danta. In questa fase, motivi di ordine pratico relativi ai tempi a disposizione hanno indotto a concentrare l'attenzione sui tre siti riconosciuti di maggior valore ambientale: Val da Ciampo (distinta nei due settori, rispettivamente a monte e a valle della strada), Val Mauria e Cercenà.

Dall'elenco delle specie inserite in lista rossa si evince subito la straordinaria importanza naturalistica e solo la zona di Coltrondo può essere considerata dello stesso livello. Sorprende che pur trattandosi di biotopi il cui accesso non è particolarmente problematico non siano stati notati prima. La letteratura scientifica infatti, per quanto ci risulta, non fornisce alcuna informazione e mancano quindi notizie storiche sull'evoluzione di queste torbiere.

La contemporanea presenza di Drosèra intermedia e Rhynchospora alba, associata alle altre drosere ed alle entità comunque rare e fitogeograficamente importanti, rappresenta l'elemento di maggior valore assoluto. Da sottolineare inoltre la grande diffusione (solo qui così abbondante) di una specie che già Pignatti nella sua flora (PIGNATTI S., 1982) definisce rarissima pur senza indicare l'effettiva distribuzione, cioè Schoenus ferrugineus.

Le situazioni ecologiche dei tre biotopi sono distinte e saranno quindi esaminate separatamente.

La Val da Ciampo, tipica torbiera soligena, è un larga depressione, situata a quote montane (circa 1350-1400 m) e interrotta da una strada, quella che conduce all'abitato di Danta, che la attraversa. La diretta alimentazione della falda tramite deflusso d'acqua proveniente da suolo minerale determina condizioni idrochimiche e vegetazionali di torbiera bassa. Nella parte alta, a monte della strada, si osserva un mosaico di comunità vegetali nelle quali la penetrazione di Phragmites, talvolta in forma ancora sterile, assume una dominanza paesaggistica (almeno quando l'osservazione avviene da un punto esterno) che non corrisponde per nulla alle caratteristiche della comunità vegetale in cui si sta insediando. La presenza, così massiccia ed invasiva, della comune canna di palude, ha sicuramente favorito la mineralizzazione e l'apporto di nutrienti. È questa una problematica emergente per la conservazione di quest'area in quanto si va progressivamente sostituendo al ben più significativo Schoenus ferrugineus. Le ragioni di un tale sviluppo possono essere al momento solo ipotizzate, in mancanza di indagini più approfondite. Una prima causa potrebbe essere imputabile alla cessazione dello sfalcio che in una certa misura teneva sotto controllo la canna, in particolare nelle aree più favorevoli alla diffusione della stessa. Una seconda causa potrebbe essere correlata all'azione di drenaggio causata da un canale di scolo artificiale che, abbassando il livello di falda, potrebbe avere aumentato l'ossigenazione degli strati torbosi superficiali, indirettamente favorendo un rilascio di nutrienti per aumentata mineralizzazione.

Si ha notizia che per la salvaguardia di biotopi simili, in altre regioni dell'arco alpino, siano stati attivati programmi LIFE per studiare il modo di contenere l'invasione della canna di palude. Non mancano mai comunità riconducibili ai vari aspetti del Drepanoclado-Trichophoretum che si alternano allo Schoenetum ferruginei, che differisce solo per le specie dominanti e per la sua capacità di tollerare una maggior relativa aridità, almeno stagionale e segnalata anche dal progressivo ingresso di Pinus sylvestris. Il livello della falda, con le sue variazioni stagionali, è presumibilmente il fattore ecologico più importante nel determinare la distribuzione spaziale dei popolamenti. La componente muscinale, seppur presente, ha coperture nel complesso limitate a causa della densa copertura delle specie vascolari.

Sui versanti più asciutti è ben rappresentato il classico Molinietum, in facies a Scorzonera humilis di buon pregio ambientale. Il pascolo, oggi trascurabile, ha lasciato le sue tracce (esempio zone a Veratrum) senza peraltro snaturare in modo definitivo le caratteristiche del sito torboso. Ciò vale anche per altri modesti insediamenti, nella parte più orientale rispetto all'impluvio, di cui si è conservata traccia. Lungo il canale principale che attraversa la valle sono stati a suo tempo effettuati drenaggi che hanno approfondito il solco modificando la disposizione originaria delle cenosi. Resta una piccola comunità a Carex lasiocarpa, quasi nascosta dal canneto. Nuclei di salici evidenziano inoltre che le condizioni ecologiche sono variabili nel tempo e la topografia di dettaglio non spiega da sola la distribuzione attuale delle comunità. Nella parte più prossima alla strada vegetano comunità dei prati umidi che risentono anche della forte antropizzazione. Se la parte situata a monte della strada è quella esteticamente più apprezzabile e meglio visibile, quella di maggiore interesse naturalistico e scientifico è invece localizzata a valle e, per fortuna, meno visibile. Mentre a monte le caratteristiche sono quelle di una torbiera bassa soligena soggetta a scorrimento superficiale, nel pianoro più basso, prima del bosco in contropendenza, si realizzano le condizioni per la formazione di una torbiera intermedia, con numerose comunità a sfagni. Qui la morfologia pianeggiante induce a pensare ad una torbiera topogena. L'apporto d'acqua ricca di soluti dai versanti circostanti determina infatti il prevalere di condizioni di torbiera bassa. Lungo il margine, in corrispondenza di un ruscellamento, si può osservare lo sviluppo di una comunità igrofila a Carex lasiocarpa che, tipicamente, tende a localizzarsi nelle aree più minerotrofiche ed umide.

Tra i muschi risultano dominanti, qui come altrove, Campylium stellatum e Drepanocladus revolvens.

Una zona a piccoli cumuli, più oligotrofica (ancora in attiva evoluzione e segno di un possibile graduale passaggio verso condizioni ombrotrofiche) ospita Andromeda polifolia Eriophorum vaginatum, Drosera rotundifolia e Vaccinium microcarpum, sviluppati su cumuli di sfagni in cui risultano dominanti: Sphagnum capillifolium, S. magellanicum e S. angustifolium.

La zona scientificamente più rilevante è quella costituita da una rete di piccole ma suggestive pozze che consente lo sviluppo di interessanti frammenti con Scorpidio-Utricularietum minoris, Rhynchosporetum albae, Caricetum limosae, oltre all'immancabile presenza di Carex rostrata. È in queste pozze che oltre alla Drosera longifolia, davvero abbondante, è possibile osservare anche la ben più rara Drosera intermedia.

L'ambiente in cui sono inseriti i biotopi torbosi è caratterizzato da un fertile bosco misto a prevalenza di abete bianco (abieteto montano dei suoli mesici), solo localmente più acidificato in corrispondenza di affioramenti più marcatamente silicatici o a seguito di precedenti interventi. Interessante anche all'interno del bosco la presenza di nuclei caratterizzati da fenomeni di ruscellamento superficiale che determinano una insolita presenza di entità riferibili alle comunità del Caricion davallianae.

La torbiera di Palù Mauria si estende in direzione NNE, proprio di fronte all'abitato di Danta. Si presenta come una depressione naturale a est della strada che conduce nella zona di Piedo. Vicino alla casèra dalla quale vi si accede, si notano comunità nitrofile rigogliose a Filipendula ulmaria, Crepis paludosa e a Cirsium heterophyllum. Molto abbondante è Equisetum sylvaticum (come nei boschi umidi del comprensorio). Rapidamente si raggiunge il settore meno disturbato e di maggiore interesse (sul lato opposto, invece, si notano solchi di drenaggio e residui di interventi di esbosco che hanno modificato l'assetto originario). Oltre alle comunità dominate da Carex rostrata, o da Menyanthes, si apprezzano in particolare le pozze con Carex limosa, Rhynchospora alba, Drosera longifolia, Utricularia minor. In ambiente relativamente più asciutto si sviluppano anche piccole comunità a Carex dioica. Molto spettacolare è anche l'aspetto a Trichophorum alpinum, sempre associato a sfagni, (in particolare sono estesi qui i tappeti a Sphagnum subsecundum, Sphagnum flexuosum, S. warnstorfii), Trichophorum caespitosum e Schoenus ferrugineus, oltre agli eriofori. Si tratta quindi di torbiera bassa soligena in pendio. Non mancano cumuli di sfagni in ambiente molto acido con Carex pauciflora, Calluna e Vaccinium. Più a valle, superato il bosco e poco visibile, compare un aspetto molto più povero a livello floristico ma assai curioso a livello paesaggistico. Non capita spesso infatti di osservare, nei nostri ambienti montani, estesi canneti (certo derivanti da progressiva eutrofizzazione) anche su pendio. Nel complesso, al di là delle singole presenze floristiche e dell'intrinseco valore vegetazionale, si tratta di un'estesa area con apprezzabili caratteristiche di wilderness.

A Cercenà (m 1315), il pianoro torboso si estende per circa 4 ha e il sito può essere definito come una torbiera topogena in cui prevalgono aspetti di torbiera intermedia. L'aspetto più caratteristico, tuttavia, è quello rappresentato dal Pino mugo-Sphagnetum, (che solo per ragioni di priorità nomenclaturali è definito come Pinetum rotundatae, un termine che non rende giustizia e di più difficile comprensione) qui abbastanza ben conservato anche se non ancora molto denso. La presenza di Sphagnum fuscum indica situazioni più avanzate, cioè cumuli più acidi e asciutti.

Come in tutta la zona di Danta va rilevata la forte concorrenzialità del pino silvestre che contende all'abete rosso, l'ingresso nelle aree libere da vegetazione arborea. Sui cumuli sono sempre abbondanti, con gli immancabili Calluna e Vaccinium, l'Eriophorum vaginatum e la Carex pauciflora. Nelle depressioni, assieme ad Andromeda polifolia e Vaccinium microcarpum (presenti anche sui piccoli cumuli), da segnalare ancora la rara Rhynchospora alba e un nucleo a Carex lasiocarpa. Nel tricoforeto (su tappeti di Sphagnum magellanicum, S. capillifolium, S. angustifolium e anche S. fallax) è diffusa, qui, la sola Drosera rotundifolia, mentre come altrove non mancano consorzi a Carex fusca e a Carex rostrata.

Di pregio è anche l'habitat forestale (evidenti le tracce lasciate da coloro che vi si recano per approvvigionarsi di legna). Da segnalare, in particolare, oltre al tipico abieteto, anche un nucleo di pecceta a sfagni.

Le zone forestali, in cui l'abete bianco è specie guida e spesso dominante, inserite tra i biotopi torbosi e ai loro margini, evidenziano quasi sempre apprezzabili livelli di fertilità, testimoniati da una notevole facilità di rinnovazione e dal bel portamento delle fustaie. Si tratta di suoli maturi e talvolta profondi, spesso acidificati sia per la natura del substrato (le arenarie di Val Gardena, dotate di ottima potenzialità pedogenetica, danno reazione acida) che per le caratteristiche climatiche e topografiche. Solo in corrispondenza degli affioramenti della formazione gessosa a Bellerophon, i suoli sono più drenanti e si sviluppano formazioni meno fertili, spesso con pino silvestre.

Indicazioni gestionali

Tra le iniziative più semplici da attuare (ma di rilevante valore) si segnala l'opportunità di individuare un quadrato permanente in modo da poter controllare e valutare nel tempo le caratteristiche di ingresso della Phragmites e quindi le variazioni dei fattori ecologici. Uno sfalcio regolare (ipotesi da verificare sulla base di esperienze in parte già acquisite) potrebbe contribuire a rallentare in modo significativo l'invadenza della canna. Nella parte alta di Val da Ciampo si dovrebbe provvedere alla rimozione di alcuni oggetti estranei all'ambiente naturale, mentre sul lato orientale vi sono manufatti residui che sarebbe preferibile rimuovere. Un certo disturbo, forse non solo paesistico, è legato all'elettrodotto che attraversa longitudinalmente l'intera torbiera. È verosimile che lungo la strada si provveda, nella stagione invernale, a favorire lo scioglimento del ghiaccio ricorrendo al sale. Considerata l'estrema delicatezza dei popolamenti a valle, si dovrebbero studiare sistemi per evitare che il percolato finisca nella zona più oligotrofica. Data l'importanza della gestione selvicolturale (i boschi dei dintorni sono certamente belli ma anche produttivi), si dovrebbero raccomandare speciali cautele in fase di esbosco per evitare danneggiamenti a carico dei cumuli di sfagni e delle comunità torbicole più pregiate.


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